Un’indagine percettiva, Anty Pansera

Un’indagine percettiva
A perceptive inquiry

Un linguaggio che prende le mosse dall’Arte, e lo scriviamo con la maiuscola, intendendolo nel senso più “tradizionale” del termine; disegno industriale (a tutto campo), e lo scriviamo nella dizione italiana ed “estetica”: prassi e teoria, il fare (meglio: il disegnare) e la “percezione” rappresentano e testimoniano la coniugazione degli interessi di Enrico Versari.Faentino, tra i tanti under 40 che si sono formati in quei particolari anni Novanta del secolo che ormai abbiamo alle spalle, si è inoltrato nei perigliosi terreni dei linguaggi figurativi “forte” di strumenti pratici e filosofici che ne hanno ben strutturata la personalità, ma che gli hanno anche permesso di agire, in contemporanea, con il segno e con la parola. Frequentata a Modena una scuola di design, si diploma con un progetto vincitore del primo premio al Concorso Internazionale Cosmopak di Bologna (in giuria, lo plaude Riccardo Sarfatti, significativa figura di architetto/designer/imprenditore, prematuramente scomparso): nonostante ciò, la scelta di iscriversi e di frequentare, a Firenze, la Facoltà di Lettere e Filosofia. Ma ecco la laurea in Estetica, la tesi su “Gli anni 60: design e arte”: quasi a chiudere un cerchio, all’insegna di quella kantiana “bellezza aderente”che Versari di fatto “pratica”.
In scena, per questa occasione, alla Galleria Comunale di Faenza, i lavori dell’ultimo scorcio degli anni Dieci del XXI secolo: una pittura pensata su un progetto costruito di diversi insiemi, i fondi a dialogare con i protagonisti di primo piano. E sono carte “scadute”, quelle che fanno da fondale: pagine di elenchi telefonici, di vecchi vocabolari, stampati non più d’attualità, fragili reliquie del consumismo e dell’ “usa e getta“, che recuperano qui una loro forza di contemporaneità. Straordinario motivo conduttore, in altri casi, per i collages di base, sono anche mappe topografiche che non sottintendono la passione per i viaggi ma la possibilità di trasgredire frontiere spesso scottanti, riportati a pacifici segni, scorribande tra i diversi linguaggi, grafici e pittorici; tagliate e ricomposte, propongono nuove geografie in inediti superamenti dei confini tradizionali.
Nel corpus che compone l’itinerario di questa mostra, dove le carte incollate interagiscono con il disegno e con la pittura (la tempera in particolare!), riemerge anche quel filone della Storia dell’arte di cui Enrico si fa portatore per la “sua” avanguardia. Dal faentino – noblesse oblige – Franco Gentilini che ha già riabilitato la graficità della pittura a Felice Casorati, per restare nel Novecento. Di quest’ultimo lo intrigano le forme essenziali, influenzate da quelle costruzioni spaziali matematiche della pittura quattrocentesca (ed ecco i fondi geometrici versariani, segni di penna che ritornano su se stessi) che, insieme all’immobilità dell’atmosfera – felicemente riproposta anche da Versari – ben permettono di risalire su su lungo quell’arco figurativo temporale che porta a Piero della Francesca.
Primattori delle “pitture” di Versari sono comunque, sempre, degli “oggetti”, presenze che si propongono di far riflettere, di suggerire al fruitore, a chi guarda, spunti di meditazione (non per nulla Enrico insegna “Teoria della percezione”…): dagli sfondi si traggono anche interessanti spunti di dialogo, come ben testimonia la tavola con “teschio, natura morta, calice con vino” – ineludibile memento mori – che emerge dallo strappo di un vecchio catalogo di armi.
“Aqua mater” è il pezzo protagonista: era stato commissionato dall’Unesco (con l’Amministrazione comunale faentina e il Museo Internazionale delle Ceramiche), finalizzato a far sì che proprio questo Museo fosse riconosciuto come “Monumento messaggero di una cultura di pace”. E la tavola con la giovane donna, che offre dell’acqua in una archetipa ciotola di terracotta, ben rientra nella ricerca che Versari qui propone: a sottolineare con forza – in un mondo senza confini – quel valore universale sempre più rappresentato dall’oro azzurro.
A completare questa uscita, e non vanno dimenticati, gli “strumenti musicali” in ceramica che da sempre Enrico progetta e realizza: la sua passione anche per la musica gli ha fatto ricercare, individuare, riproporre reinterpretati, grandi vasi “da suonare” dal design metafisico, che riemergono da tradizioni lontane, mediorientali e/o africane. Ma anche “inventare” cerchi e sfere/casse armoniche che ha inserito in strutture che possono ricordare le nasse ma anche, perché no, la “Calza” di Munari…
Un percorso, insomma, che ben testimonia – mi pare – il credo nella “tradizione italiana” – ars combinatoria e figurazione senza timori a rispettare ciò che si vede – nonché la poetica di Enrico: disegnare tutto, progettare palcoscenici dove mettere in scena attori ben contestualizzati, “costruire” storie – realtà e trasfigurazione – , di fatto sofisticate parabole visive.
Ovvero, e a dirla meglio con le sue parole: “La mia personale avanguardia è tornare al disegno, dopotutto il segno è alla base della percezione ed è un ottimo strumento di indagine filosofica su ciò che appare. Eliminando il “velo di Maya” che ottenebra la vista il disegno potrebbe svelare la cosa in sé e per sé!”.

Anty Pansera
“Enrico Versari, La forma dell’invisibile”, Tipografia Faentina Editrice, 2011.

A perceptive inquiry

A language arising from ‘Art’, written with a capital letter, intended in the most “traditional” sense of the term; industrial design (in its broad sense), and written in ‘aesthetic’ diction: practice and theory, doing (or better: drawing) and the “perception” represent and testify to Enrico Versari’s conjugation of interests.
From Faenza, among those under 40 who established themselves in those particular 90s of the last century, he entered the parlous lands of “strong” figurative languages of practical and philosophical instruments which certainly defined his character, but which also allowed him to act with his art and his words.
He attended a design school in Modena and graduated with first prize in the Cosmopak International Competition in Bologna (on the jury he was praised by Riccardo Sarfatti, an important figure in architecture, design and business who left us prematurely): despite this he decided to enrol in the Literature and Philosophy Faculty in Florence. Then followed his graduation in Aesthetics, his thesis on “The 60s: design and art”: as if closing the circle, in the pursuit of that Kantian “adherent beauty” which Versari in fact “practises”.
Presented on this occasion in Faenza’s Art Gallery are works from the end of the first decade of the 21st Century: paintings forming a project constructed of various elements where the backgrounds communicate with the characters in the foreground. Out of date maps make up the background: pages from telephone directories, from old dictionaries, no longer topical, fragile relics of consumerism and a disposable lifestyle which reclaim a contemporary strength. Topographical maps in other cases are the extraordinary common thread for the bases of collages, they do not suggest passion for travel but rather the possibility of crossing often burning boundaries, brought back to pacific signs, forays into different languages, graphics and pictures; cut and put back together, they present new geographies in the crossing of traditional boundaries.
In the corpus which makes up the itinerary of this exhibition, where the pasted down pages interact with the design and the painting (in particular the tempera!), that branch of Art History of which Enrico makes himself the bearer due to “his” avant-garde re-emerges. From Faenza – noblesse oblige – Franco Gentilini, who has already re-established the graphic aspect of painting to Felice Casorati, to remain in the 20th century. He was intrigued by the latter’s essential forms, influenced by those spatial-mathematical constructions of 15th century painting (here are the Versarian geometrical backgrounds, brush strokes which go back over themselves) which, together with the immobility of the atmosphere – happily presented again by Versari – allow him to get back on that long figurative temporal arch which goes all the way back to Piero della Francesca.
The protagonists of Versari’s “paintings” are always “objects”, appearances which move us to reflect, which suggest to the consumer, to who looks at it, food for thought (not by chance does Enrico teach “Theory of Perception” …): interesting points for conversation can also be drawn from the backgrounds, as seen in the table with “skull, still life, glass with wine” – inescapable memento mori – which emerges from the tearing of an old weapons catalogue.
“Aqua mater” is the main work: commissioned by Unesco (together with Faenza Council and the International Museum of Ceramics), designed so that this very museum would be recognised as “Heritage for a Culture of Peace”. And the table with the young woman offering water in an archetypal terracotta bowl is certainly part of the research which Versari proposes: to underline boldly – in a world without borders – the universal value represented by the blue gold.
To complete this presentation we cannot forget the ceramic “musical instruments” which Enrico has been designing and creating for a long time: his passion for music has led him to research, to specify and to present large vases reinterpreted, “to be played”, of metaphysical design, which re-emerge from ancient Middle Eastern and/or African traditions. He has also “invented” circles and spheres/sounding boards which are inserted into the structure and which remind us of pots but also, why not, Munari’s “Calza” …
In a word it is a path which demonstrates – I feel – belief in the “Italian tradition” – ars combinatoria and figuration without fear of obeying what one sees – as well as Enrico’s poetics: design everything, plan stages where well contextualised actors perform, “construct” stories – real and transformed – they are in fact sophisticated visible proverbs.
Or rather, and to say it better in his own words: “My personal avant-garde is going back to design, after all the line is the basis of perception and an excellent instrument for philosophical enquiry regarding what appears. Eliminating the “veil of Maya” which obscures the view of design could reveal it per se!”

Anty Pansera

“Enrico Versari, La forma dell’invisibile”, Tipografia Faentina Editrice, 2011.

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